[…] Agrigento tace nell’avvampare straziato della notte.
Con tali toni forti termina una dolce e drammatica poesia dell’eclettico Beniamino Biondi, attuale Assessore alla Cultura di questa mia cittadina. Purtroppo Agrigento è stata tradita da imbrogli, malaffare e colpe di una precedente cattiva politica ma, si è continuamente stagliata fiera contro corrotti e disincantati, quale sintesi della Storia umana, poichè in essa esistono tracce vive di tutte le Civiltà.
“Ho sempre preferito chiamarla Girgenti e quindi, quella di oggi è una restituzione all’antica storia di Agrigento, che il fascismo volle chiamare così, ma che per me è sempre stata e rimarrà ‘Girgenti!’ ”. Così lo scrittore Andrea Camilleri, cittadino onorario di Agrigento, ad Aprile di quest’anno, ha commentato la decisione dell’Amministrazione Comunale, di tornare a chiamare l’antico centro storico della Città dei Templi, quello del Rabàto arabo-normanno-chiaramontano, con il toponimo di Girgenti!
E io vivo proprio qui, a Girgenti, dai tempi dell’asilo e nonostante la latente nostalgia per la mia terra natia [Erice], in questo luogo che odora di mare, ho riconosciuto punti di congiunzione con gli aspetti più definiti e a tratti ribelli, del mio essere.
L’elemento di congiunzione per eccellenza è proprio il mare, cioè il mio #secondorespiro. Mi attende a pochi chilometri e tutte le volte che annaspo tra dubbi e paure, lui è lì per calmarmi, rimettendo i pensieri in ordine di priorità, legate al mio benessere; perché chi sta bene con sé stesso è di aiuto agli altri o meglio, non reca loro dolore, piuttosto serenità.
O semplicemente, quasi ogni tardo pomeriggio invernale, mi affaccio dalla mia vetrata o salgo in terrazza e piccoli stormi di rondini, sempre alla stessa ora e con nello sfondo la Valle dei Templi, inscenano una danza rincorrendosi e quasi mi sfiorano mentre l’orizzonte inizia a lasciarsi contagiare dai colori iridescenti di un sole che sparisce nel mare; quel mare che riempie i miei occhi e quasi ogni giorno del mio quotidiano. Questo perché, in qualsiasi luogo io vada, cerco sempre un litorale, una scogliera, battigia, precipizio che si insinui nel mare e io con lui.
Ho scelto di vivere in un centro storico perché m’incuriosisce percorrere vicoli pieni di panni stesi che si allargano in verdi cortili o piazzette arabeggianti, incrociando turisti cui dare consigli; sorrido osservando gatti e piccioni attraversare veloci tetti di tegole, all’ombra di braci fumanti; o ancora ascoltare il chiacchiericcio dei vicini, cadenzato dal suono della tv accesa.
Questa maniera di vivere è una dichiarazione d’amore alla bellezza delle cose semplici. Le cose semplici bisogna soffermarsi a guardarle, ascoltarle, annusarle, toccarle e immagazzinarle quasi fossero ancore di salvataggio per i momenti di assenza da sé stessi, per i momenti d’incombente tristezza ingiustificata.
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Dalla mia finestra scorgo il campanile dell’Abazia di Santo Spirito. Al suo interno, sull’originale nucleo medievale, s’innesta un articolato esempio di decorazione barocca: i meravigliosi stucchi di Giacomo Serpotta che si ritiene sia stato influenzato dall’opera di Gian Lorenzo Bernini; figure a grandezza naturale, che una simpatica monaca mi ha invitato a veder da vicino, da dietro l’altare e l’impatto è da ricordare e consigliare.
Nel Tredicesimo sec. una nobildonna agrigentina trasformò il suo palazzo in un monastero di clausura, incorporandolo proprio nel complesso dell’Abbazia di Santo Spirito e, dopo sette secoli di isolamento, le monache hanno aperto le porte a una sacrosanta ospitalità avviando, all’interno del Monastero, un delizioso Bad&Breakfast con la possibilità di gustare e acquistare prodotti tipici realizzati con le loro mani e, volendo, assistere alle lodi e alla celebrazione eucaristica che si svolge ogni mattina in chiesa. Un soggiorno decisamente alternativo!
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Esco di casa e incrocio vicini sempre disponibili e mai invadenti. E i rintocchi di campane delle tante chiese, accompagnano il mio incedere lento e curioso, mi fermo tante volte ammirata da vistosi murales, altre intristita da pizzi, bucati dai vetri rotti di abitazioni fatiscenti ma ammiro chi, audacemente, ha scritto sul vissuto di quei muri: ” Vietato l’accesso a chi pensa che il centro storico sia morto!”.
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La poesia di Beniamino Biondi, è stata ancorata a una parete di tufo, non squadrata e prossima a cadere. E attende lo sguardo di turisti e locali per raccontare di una Girgenti dignitosa, orgogliosa: un gioiello decadente da salvaguardare.
Sicilia pallida Madre
Quieta trasuda l’estate isolana, svilita e dolce,
traversata dagli ultimi brusii dell’allegrezza,
su per vicolo Bagli, tra rapidi passi e angusti cortili.
E nella piazza mutilata s’appressa un vecchio
smagrito e rude, come un magnaccia senza puttane,
escluso da questa vita che pur fuori dalla storia è vita.
Scura nella razza dei padri rivive affamata la sera
con le sue madri feroci e pudiche, con i suoi figli idioti e crudeli.
Da un uscio una donna annerita
stende i panni di un antico guardaroba:
una blusa consunta, dei calzini lasciati a scolare.
Agrigento tace nell’avvampare straziato della notte.
Beniamino Biondi